Tutto questo per dire cosa? Per dire che l'Orlandino rifiuta i modelli, gli "esempi", o peggio ancora i simboli. A l'Orlandino - l'avrete capito - lo infastidiscono i gruppi, soprattutto se 'di riferimento', detesta i partiti, è disturbato dai così detti vip, che troppo spesso non si capisce perché lo siano. L'Orlandino è fatto così! Ma anche lui ha i suoi deboli. A l'Orlandino piacciono i cani sciolti, i lupi solitari, quelli che camminano da sé, che pensano da sé, senza imporre nulla a chiunque e soprattutto, senza doverne rendere conto a nessuno.
E allora voglio riproporre lo stesso articolo che mi ha riportato alla memoria quest'Uomo, che gentilmente ci concede l'autore. Un modo per ricordare un aretino che di idee da regalare alle colonne dell'Orlandino ne avrebbe avute come pochi altri. Buona lettura!
Un misterioso sottosuolo, un antro della lucidità e dell’intuito custodito dalla materna razionalità di Minerva. Questo fu il luogo vitale abitato da PierFrancesco Greci.
Curiosamente, sabato scorso, Fabrizia Fabbroni ha celebrato un “pomeriggio della memoria” dedicato al Greci nel sottochiesa della basilica di San Francesco (l'articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2008, ndr). Mai un luogo fu così adeguato. Poche persone irrigidite nel freddo climatico e in quello delle nobili, antiche mura, giunte per ascoltare parole di sincera amicizia dedicate ad uomo straordinario. Una sorridente e suadente signora, intelligente e dolcissima amica di Piero che ha riassunto con il sorriso sereno della “buona memoria” le tappe biografiche della sua maturità, accennando alle sue opere e presentando una raccolta di “frammenti” particolarmente illuminanti. Un atmosfera austera, perfetta. Vorremmo sognare per Piero squilli di trombe e riconoscimenti post mortem ma sbaglieremmo sogno. Ho promesso a Fabrizia che avrei scritto ciò che avrei potuto dire nell’occasione e mantengo la promessa.
Il Greci aveva la mente piena e il calore della razionalità non riuscì mai a sciogliere le fredde lame intuitive che progressivamente lo resero lucido. Forse fu abituato al disincanto fin da piccolo e così seppe trasformare ogni percezione in altrettante armi critiche, taglienti come il ghiaccio, affilate da un’intelligenza superba, usate con maestria per rompere ogni schema, ogni struttura preconfezionata. Non volle mai costruirne di nuove, non ebbe questa boria; voleva soltanto aprire nuove strade, originali prospettive critiche. Solo una debolezza in questa sua Odissea cognitiva, fra i tortuosi tornanti del giudizio critico: la sua Itaca, Arezzo. Conosceva la città come nessun suo concittadino. E’ necessario precisare che vi sono stati e ci sono uomini che conoscono la Storia di Arezzo anche meglio di lui; ma non come lui. Gli storici, gli studiosi, costruiscono le loro conoscenze sui libri e si riempiono il cervello ma rischiano di svuotare la mente della propria originalità. Lo storico, generalmente, lascia che le nozioni costruiscano uno stratificato magazzino nel loro cervello ed ogni attività critica ne viene inesorabilmente influenzata. Non fu così per Piero.
La grande “modernità” del Greci, che può essere riscontrata anche nella frammentarietà della sua opera, nel burlesco del suo stile, nel suo fine senso dell’ironia, sta soprattutto nella libertà della sua mente. Libertà, nella percezione del bello e non solo del bello, da ogni precostituita convinzione che potesse annidarsi nel suo cervello. Quel portentoso cervello che fu capace di costruire una mente così lucida e indipendente. La sua fonte preferita di conoscenza fu l’esperienza.
Ognuno di noi, fin da piccolo come inizio della sua storia cognitiva, costruisce una propria teoria della mente; della propria e di quella altrui. Piero capiva l’altro e come tutti cercava di capire se stesso: la sua “teoria” era prodigiosa. Applicata all’arte, lo spingeva a cercare nelle opere sempre l’uomo, l’artista, ad immedesimarsi: percepire la realtà come avrebbe potuto percepirla lui. Tutti amano la Storia della Vera Croce di Piero della Francesca oppure le opere di Caravaggio: Piero li aveva capiti, aveva capito da dove scaturiva il loro genio. Magari è più prudente dire che ha sempre cercato di capire, giungendo però a risultati sorprendenti. E’ stato un vero peccato, ma non ci si poteva aspettare nulla di diverso, che non abbia mai scritto qualcosa di ponderoso e sistematico per rendere immortale la sua teoria critica. La memoria della sua mente durerà almeno fino alla fine dei giorni dei suoi più vicini amici.
PierFrancesco Greci è stato il più importante aretino della sua generazione e le sue tracce meritano di essere seguite. Continuo ad auspicare che si realizzi un volume che raccolga la sua produzione letteraria e vorrei che fosse una raccolta “ragionata”, ovvero commentata e sorretta, possibilmente, da molte note ed aneddoti biografici. Vorrei. Infine, che nessuno cadesse nella tentazione di trascinare Piero fra le celebrità aretine: non si meriterebbe tale irriconoscente supplizio. Piero fu uomo del sottosuolo, tagliente, lucido, libero, non conforme, unico. Così dobbiamo ricordarlo.