lunedì 24 gennaio 2011

Riccardo Paffetti e Jacopo Fabbroni, il duo Fake Disco: "Ok, ci siamo inventati il Milk! Ma non siamo proprio i tipi da discoteca...!"

Entrare allo Sugar Reef di sabato pomeriggio, dopo esserci stati di venerdì sera per il Milk, fa quasi impressione. Soprattutto dopo che solo qualche ora prima, riuscivi a malapena a fare due passi una volta superata l’entrata. E ti ricordi quel corridoio, che adesso attraversi in tre secondi netti, come una grande onda anomala, che ti portava dove voleva lei e solamente alle sue condizioni…

Che dire…seratona, ieri sera…
"Il delirio di gente. E ci piace…ci piace perché ad Arezzo, spesso, c’è lo stesso casino, ma per andare a sentire musica…come si suole dire…"

…di merda si suol dire…!

…esatto, quindi fa piacere, tanto, quanto fa impressione capire di essere diventati di moda, avere i numeri e - fra virgolette - dettare legge. Anche perché si perde quell’accezione più esclusiva. Ma tant’é…!

Tant’è che non sbagliate un colpo, vi ferma solo la neve a voi…

"Il Milk è un appuntamento mensile, non dimentichiamocelo. E’ anche per questo che riempiamo il locale ogni volta. Potremmo farlo tutti i venerdì, visti i numeri, ma perderebbe quell’aria da party. Senza contare che andrebbe alle ortiche tutta l’intensità di lavoro che sta dietro ad ogni evento che facciamo. Perdendone in qualità. Perché solamente un booking, delle volte, dura anche sei mesi"

Davanti a me, a fare due chiacchiere, ci sono Riccardo Paffetti e Jacopo Fabbroni, la Fake Disco, reduci dall’ennesimo pienone del Milk. Dj, organizzatori di serate fra le più importanti di Arezzo, animatori culturali della città. Il primo è il batterista dei Tank You For The Drum Machine; il secondo, una delle anime dell’Elettrowave, di arezzowavevviana memoria.


L’uno manager, l’altro l’artista estroso? Possiamo sintetizzare così? Facciamo una cosa per semplificare…presentatevi l’un con l’altro. Riccardo, che mi dici di Jacopo?

"Jago è una persona con una cultura immensa. Lo battono in pochi. E come tutti i buoni uomini di cultura, è un po’ sfaticato. Diciamo che è un artista delle dinamiche organizzative, dinamiche che però gli fanno incollare il culo alla seggiola"

Quindi il ragionamento torna…tu l’estroso, lui il manager…

"Si, ma l’obiettivo, il mio e il suo obiettivo, rimane il solito. Siamo due persone diverse, io sono più istintivo, lui pondera! Ma se fossimo uguali nel modo di fare, non sarebbe andata com’è andata con i nostri progetti. Ci completiamo, in un certo senso. E da buoni soci, spesso non andiamo d’accordo"

Cosa, che poi risulta la vostra arma segreta!

"Esatto"

Jacopo, a te la palla…

"Ho come socio una sexy rock star. Diciamo che siamo molto diversi: lui ha questa grande forza, anche fisica, questo appeal sui ragazzi, è un vero ‘music symbol’. Detto questo, la forza del nostro connubio, sta proprio nell’avere strumenti diversi. Riccardo è uno molto passionale, impulsivo, che non media, che non ha la parolina diplomatica, questo può essere una grande forza, come, altre volte, una debolezza. Ma anche una grande sincerità e verità rispetto ai propri comportamenti"

Quindi sarò a rischio durante l’intervista…

"Vai tranquillo, che sotto quell’aspetto un po’ duro e un po’ burbero… è un dolcissimo pandoro"

Ok, abbiamo analizzato il vostro ‘rapporto di coppia’, dinamiche quasi da fidanzati direi… adesso vorrei parlare di quello che fate. Scenderei sul pratico. Mi piacerebbe rivedere, quasi in chiave storica, la vostra esperienza. Ci proviamo?

"Abbiamo portato un ‘concept’ di serata, ad Arezzo, che già era comune sia in Italia, che in Europa. L’idea di base è stata quella di conciliare dei live (che siano indie, rock, funk, elettro-clash…ecc) a cui far seguire una ‘guest’ internazionale, sempre vicino ad uno stile underground. Il tutto condito da allestimenti e da visual fatti ad hoc"

Questa l’idea, ma da dove inizia il percorso?

RP: "Venni chiamato da Valentina Alvarez, una delle collaboratrici dello Sugar. Voleva una serata nuova per il locale e la voleva di venerdì. Era il 2008. Noi due uscivamo dall’esperienza Ghost Party, che era appena sfumata e tenendo una linea di continuità, ci venne in mente il progetto Milk"

Progetto che arriva da un percorso ben più lontano…

JF: "I primi tentativi di mixare il rock, (dagli ’80, agli anni ’00), con l’elettronica, partono da più lontano. Ci provai a Talzano, già nel 2006. Che cosa facevamo? Ai concerti, seguiva un djset. Io ero resident e mettevo roba come Soulvox, Chemical Brothers, Prodigy, Bodyrox"

Praticamente quello che fate ancora oggi…

"Più o meno…partivamo rock e si finiva elettronici. Oggi si fa, è normale, lo fanno tutti, ma allora non era un modo di fare concepibile. Fare una cosa del genere era quasi considerata assurda. Il popolo del rock, voleva sentire il rock. Punto. Ma tutto finì nel giro di un’estate"

E intanto cosa succede?

RP: "Intanto iniziano i Ghost Party. Mi contatta Francesco Piattelli e ricordo che stavo mangiando una piadina in via de Cenci, quando mi spiegò l’idea che aveva in testa: era appena tornato dall’America e voleva fare un party dalla concezione underground. Posti itineranti, leggera aria d’illegalità, una cosa così. Ci sto e il primo Ghost Party, lo allestiamo nella mensa del Maspino"

Dal Maspino allo Sugar…ce n’è di strada…

"Ok, ancora c’è tanta strada da fare, ma la formula dell’allestimento, ad esempio, nasce da lì. I luoghi dovevano essere sconvolti (Ora è Samuele Bertocci che lo fa), pensati per la serata che volevamo fare. Quel tipo di serata fu - nel vero senso della parola - una cosa nuova, che non si era mai vista in città"

Quindi? Come si uniscono le due esperienze?

"Il concept Milk ha come radici questi due modi di intendere una serata. Sei furono le serate del Ghost Party e alle ultime due partecipò anche Jacopo. Il Ghostin new year (capodanno 2009) fu la consacrazione. Diventò un progetto curato nei dettagli. Non era più un Ghost Party, era un’altra cosa. Fu l’inizio di un’altra fase. Capimmo che ci voleva una ristrutturazione organizzativa. Motivo per cui il passaggio allo Sugar, che nel frattempo ci aveva chiesto di organizzare una nuova serata, fu – come dire – naturale"

Quindi, oltre che mash-uppare i brani, avete fatto un mash up anche delle vostre esperienze…

JF: "In pratica è cosi. Volendo, ci sarebbe anche un’altra parte della storia da raccontare: non dimentichiamoci che gli aretini – a anche noi – nel 2003 ebbero l’occasione di guardarsi i primi visual all’Elettrowave. Cosa che fu a dir poco stimolante! Inoltre, Nicola Giannini, ancora oggi un VJ, m’insegnò a usare Traktor, che è il programma per mixare la musica che ancora oggi usiamo e che lui scoprì frequentando gli ambienti bolognesi a inizio anni 2000"

Quindi entrò in ballo la possibilità di mettere la musica…

"Oggi lo usano tutti, ma all’epoca, soprattutto in una città come Arezzo, neanche sapevamo cosa fosse Tractor. In ogni modo, fra il 2003 e il 2004, io mettevo i Deus, insieme ai Soulvax, i Chemical Brothers, con Moby e lui faceva i visual. Suonavamo al Covo e al Loft di Bologna. Lì, qualche idea su come fare una serata, me la sono fatta…"

L’embrione di quest’idea navigava nelle vostre teste da quasi dieci anni, dunque…dietro al Milk c’è più di quello che sembra…

"L’idea Milk della Fake Disco, che è venuta fuori autonomamente, è il frutto di un percorso…che potremmo far risalire addirittura ai party underground casalinghi, delle feste che erano piuttosto in voga qualche tempo fa"

Ok, panoramica storica fatta. Passiamo all’organizzazione…che secondo me è la vostra vera carta vincente! Il Milk è un fenomeno di massa, qualcosa che non si era mai visto ad Arezzo, almeno che io mi ricordi…mi spiega il perché di questo fenomeno il sociologo della situazione…Jacopo?

"Diciamo che siamo partiti monostrutturati, eravamo io e Riccardo. Ma pian piano sono nate tutta un’altra serie di strutture a compendio del Milk"

Cioè, è nata una rete…

"Esattamente: una rete di capitale sociale, un network di competenze, dove molti hanno avuto modo di diventare protagonisti, di diventare una sorta di ‘nodi’ di questa rete..."
Andiamo sul complesso: allora, nodi di rete, nel senso che all’interno della grande rete Milk, altri soggetti, oltre a voi, hanno la competenza della gestione di altre piccole parti di rete?
"Nel senso che esistono dei nodi di rete informati e istruiti. Ti spiego in un’altra maniera: la nostra, non è una piramide commerciale, ma ognuno fa la sua parte. Siamo una struttura molto orizzontale, che si sviluppa grazie a dei nodi di rete. E’ evidente che le responsabilità in campo, richiedano più attenzione da parte di alcuni, più che di altri. Ma più o meno siamo come Coleman, aveva descritto il capitale sociale"

Sei proprio un sociologo…non avrei mai pensato che intervistare i Fake Disco, sarebbe stato un po’ come un esame dell’Università. In che senso… Coleman?

"Nel senso che al Milk ogni soggetto che lavora, che vive il Milk, inizia ad ampliare la propria rete di conoscenze e a relazionarsi con individui dal bagaglio di esperienze diverso dal proprio. Entrando in contatto con soggetti differenti per esperienza e per conoscenza, l'individuo andrà ad accrescere il proprio capitale che si svilupperà all'interno della società. Nel nostro caso nel Milk…"

E quindi?

"E quindi, si creano delle crew, che fanno cose anche al di fuori delle serate allo Sugar. Nasce Project, Deep, Suicide Machine...e tanti altri..."
Ok, ci siamo…poi in cosa vi distinguete?
RP: "Noi non ci promuoviamo grazie ai pr. Il sistema standard nelle discoteche è quello di dare dei finti privilegi (omaggi, riduzioni, “ti metto in lista”, i drink omaggio). Noi, invece, usiamo la rete di affezionati che ci seguono sempre. Non siamo tipi da discoteca"

Questa, detta da chi organizza serate in discoteca, è un’affermazione forte! Poi?

"Diamo più spazio ad altre realtà, oltre a Fake Disco, per fare in modo che queste possano crescere. E sempre in un ambito lavorativo. Diamo degli strumenti: se pensi che a ogni serata dedichiamo almeno due settimane di lavoro fisso e un mese di progettazione (dal booking artistico, all’allestimento, fino alla gestione del canale di distribuzione pubblicitaria)…ce n’è per tutti di lavoro"

A proposito di pubblicità…anche in quella non siete convenzionali…

"Ci promuoviamo in una certa maniera: ad esempio facciamo un teaser originale per ogni serata. Utilizziamo un certo tipo di grafica. Usiamo come mezzo prevalente sugli altri il social network. Senza Facebook, non saremmo di certo così popolari. Noi lavoriamo così…e in maniera diversa non ci riesce…!"

Però se penso al capodanno al Centro Affari di quest’anno, c’erano i PR, le prevendite, qualcosa che andava oltre alla vostra rete…in maniera diversa, vi riesce lavorare…

"Infatti siamo stati tacciati di non essere funzionali al coinvolgimento delle pubbliche relazioni. Noi – e questo è vero – abbiamo fatto un’operazione diversa e ci siamo trovati in difficoltà ad avere un vero e proprio esercito di assoldati, disposti a prendere ordini da noi che dirigevamo il lavoro"

Nel senso?

"Nel senso che noi lavoriamo con una modalità organizzativa vissuta a livello di negoziazione e di scambio con le altre realtà che ci circondano. Come si dice…il nostro lavoro è votato all’empowerment. Perché quelli che fanno parte del nostro schema hanno iniziato ad ascoltare musica, a informarsi e tutti questi stimoli, li hanno portati a fare la grafica, gli allestimenti, i visual, a mettere la musica. Il tutto, in maniera autonoma..."

Perché Fake Disco?

JF: "Fake Disco era un mio logo/concept dai tempi di Talzano. Quando mettevo la musica in quella famosa estate, mi chiamavano Jago e a me non piaceva come soprannome! Ne volevo uno che rappresentasse quello che stavo e stavamo facendo in quel momento. Quindi fake, falso, nel senso di negazione di un modello, quello della discoteca, che si autoalimenta in qualcos’altro"

Lo vedi che è un’intervista profonda?

"Volevo svilupparlo come un marchio di un’agenzia per dj. Per tutti quegli artisti che si riconoscevano in questo concetto di ri-declinazione della discoteca. Questa cosa non si è mai sviluppata. E quando si è presentata l’occasione, lavorando con Riccardo, mi è sembrato automatico usare quel logo e quel concetto. Un concetto che sia da una parte umile, dall’altra innovativa e che soprattutto ci canzoni un po’"

Insomma…abbiamo fatto un bel quadro del fenomeno Milk…manca solo un’ultima constatazione…il vostro pubblico…

"Il pubblico trasversale era un nostro obiettivo, perché incanalare eventi in un filone? Perché targettizzarli per qualcuno in particolare? Ci è sempre sembrata una cosa stupida. Ad Arezzo o c’erano le esperienze esclusive, o roba da scarafaggi. E invece l’idea giusta è stata fare qualcosa di underground, in una struttura come lo Sugar, una cosa nuova, che ha ricompattato delle divisioni sociali!"

Addirittura? Spiegatemi meglio…

"Ad Arezzo le scelte artistiche dei locali, dettate probabilmente dal nostro stesso tessuto economico, costruito sul settore orafo, hanno voluto – chiamiamolo – un “divertimento per ricchi” e uno per tutti gli altri. Inoltre, il fatto che ad Arezzo manchi un’università, con tutto quello che comporta, non ha di certo aiutato a far nascere dei luoghi che potevano convogliare un movimento trasversale della città"

Pubblico che avete creato voi…

"Noi abbiamo dal ragazzino sedicenne, al nerd che sta davanti al computer tutto il giorno, il figlio di papà, fino al trentenne. Diciamo che non siamo voluti essere ne elitari, ne esclusivi. E che la così detta cultura diffusa e accessibile ci ha aiutati a passare il messaggio"

Quali sono i punti di forza della nostra città?

JF: "Un punto di forza di questa città è la sua tanto riconosciuta, e rinomata, povertà culturale. Perché di sicuro è ancora un territorio vergine e un tessuto cittadino urbano che potrebbe raccontare tante cose. Siamo all’anno 0, perché, quindi, non potremmo ricevere tante belle soddisfazioni?"

Credo anch’io, speriamo in bene e incrociamo le dita…

"Perché non dovremmo essere ottimisti…ad esempio, al Milk, quello che ci troviamo davanti è un pubblico informato, che ascolta musica, che legge, che critica. C’è chi lo fa con leggerezza, chi con una logica precisa. Ci sono tante persone che fanno e hanno voglia di cultura oggi"

Una bella notizia…

RP: "Realmente, ora, questo condividere, questo partecipare, potrebbe essere non soltanto un divertirsi la notte. Ma potrebbe aiutare lo sviluppo di altro. Di una cultura a 360 gradi. Diciamo che la musica, nella cultura, è un po’ come un Cavallo di Troia"
JF: "E’ un po’ come se fossimo nella nostra Nouvelle Vogue Culturale"

Mi piace quest’idea…qualcosa del genere non era accaduto con Neo-On?

"Neo-On è stata una risposta provocatorio. È stato un processo allucinante. Una parte importante della città aveva posto una domanda e Neo-On era stata la risposta. E’ accaduto un badaboon culturale, che ha portato a un un rimescolamento di soggetti e di professionalità che ha fatto bene a tutti. Creare quella dinamicità, ha trasformato molte idee in ricchezza, non dimentichiamolo"

E ora i punti di debolezza…

"E’ una città che sconta la sua perenne autocondanna alla provincializzazione! Una città che di questo suo status da un lato si condanna, e dall’altro ci si compiace. Provincialismo congenito, di condanna e crogiolamento. Una città di piccoli micronuclei e mai di rete"

Un’idea per cambiare qualcosa…

RF: "Ci sono tanti spazi ad Arezzo, usiamoli! Il nostro sistema burocratico va alleggerito. Creiamo un ufficio di semplificazione organizzativa, per trovare il modo di mettere insieme le persone. Ad esempio, se io voglio fare un’istallazione, se voglio mettere una mucca con le ali, in mezzo a piazza San Francesco, mi fanno due coglioni così. A Firenze perché possono farlo e ad Arezzo no? Ecco, scrivi, Paffetti chiede…PERCHE’?"

In effetti alleggerire i modi per ottenere le autorizzazioni, potrebbe rendere più dinamica tutta la città…

"C’è tanta gente che potrebbe fare altrettante cose. Sarebbe bello stravolgere il centro. Ad esempio ci sono tantissimi fotografi oggi ad Arezzo, perché non c’è una mostra? Gli spazi esistono, ma non vengono dati, non c’è la voglia di sfruttarli. E’ stato fatto il mapping di una parete in piazza San Francesco per Natale. Ecco, bello, ma si potrebbe fare da tutte le parti, perché di persone che farebbero cose così…lo sai quante ce n’è"

Eh…e io rilancio…lo sapete quante ce n’è?