mercoledì 1 dicembre 2010

Leonardo Caprai, fotografo: "Ad Arezzo la creatività ci sarebbe, ma non si vede"

I suoi punti di riferimento sono Koudelka, Martin Parr, Paolo Pellegrin e alcuni altri. Leonardo Caprai, giovane aretino, ma professionista fiorentino per necessità, perché nella sua città: “E’ difficile fare il fotografo, a meno che uno non voglia fare quello di ‘bottega’”. Collabora con una leggenda in patria e non, uno dei più grandi del settore, Massimo Sestini. Ma tornando a lui…aretino – dicevamo – e fotografo…ma della sua città, al momento, non saprebbe neanche da dove cominciare a scattare:

“E’ un ‘paesone’ di provincia, un “mondo piccolo” alla Don Camillo e Peppone. Non riesco a trovare la chiave per descriverla. Anche se nella sua desolazione, offre qualcosa di bello a un fotografo”.

Quale potrebbe essere la sua parte più fotogenica?

“Le ipocrisie. Ad esempio, in città alcune persone ‘se la tirano’ come se fossero a Portofino, senza considerare il fatto che Arezzo non è Portofino. Oppure, altri ancora, si immaginano la propria città come fosse una metropoli. Ad Arezzo, per dirne solamente una, su che base del conflitto sociale possono nascere figure come gli emo, i punkabbestia o cose simili? E’ strano. Ecco sarebbe bello fotografare questo. Contestualizzare i personaggi da metropoli, che popolano comunque la nostra città. O altrimenti dei ritratti agli orafi. Il problema, forse, è che mancano un po’ di umorismo”.



Quindi fotograferesti gli stereotipi?

“Si, ma Arezzo non detiene un vero stereotipo. E' strano. Cerco di spiegarmi meglio: se vai a Napoli, ne trovi mille di stereotipi, belli o brutti che siano. Napoli ha il suo stereotipo. Ad Arezzo, non c’è modo di ritrovare uno stereotipo particolare, o comunque positivo, e quando dico positivo, lo dico nel senso di interessante da fotografare”.

Che differenze ci sono fra le due città che conosci meglio? Fra Arezzo e Firenze?

“Quello che ti ho detto prima: se vai in un bar a Firenze, mettiamo a “La Cité” in San Frediano, le persone, il posto, le situazioni ti mettono bene. Sono genuine. Ad Arezzo non esiste un posto del genere. Ad Arezzo, come ti ho detto, alcuni credono di essere a Portofino. E' per questo che non abbiamo uno stereotipo nostro, fotografabile. Campiamo con i modelli altrui”.

E se trovassi un soggetto? Come lo fotograferesti?

“Come Martin Parr, che è un fotografo che ha basato tutto il suo lavoro su degli aspetti deridenti della città. Con la fotografia ha deriso il turismo, il modo moderno di conoscere un luogo, il nostro modo di visitare i posti. Ecco, vorrei immortalare Arezzo, ma con un’immagine un po’ più sporca. Meno patinata. Vorrei immortalarla come una città vera, viva, con tutte le sue contraddizioni”.

Comunque qualcosa di questa città l’hai già fotografato (potete vedere anche le foto)…
“Si, io ho iniziato la mia carriera da fotografo allo Skatepark. Quel momento è stato addirittura poetico per me. Bello. Quel posto era un po’ come se fosse mio in quel momento. E per farlo mio, dovevo prendere un’iniziativa, quindi fotografare. Per me fotografare, lì, era il modo di far parte di un sistema. E poi, è diventata una professione”.

E ora? Dovessero assegnarti un servizio sulla tua città? Dove andresti a scattare?

“Ad Arezzo farei un servizio sul traffico, perché una cosa che mi sono sempre chiesto è come mai dobbiamo prendere la macchina in una città piccola come la nostra. Poi sui ragazzini che bevono al Buzzini. Le persone che giocano al bar Europa e i personaggi che popolano il Barcollo. I centri commerciali. I ‘pottini” del centro. Piazza Grande di notte, perché di notte non c’è mai nessuno e mi piacerebbe farla vedere a quelli che non ci vanno. Il Pionta quando c’era lo Psycho Stage, ma non si può più. Gragnone della vecchia gestione, ma non si può più neanche lì”.

Ma Gragnone esiste ancora…
“Si, ma ha perso il suo fascino. Non c’è più la gente di prima. Non è più logoro e sudicio. Non è più genuino. Poi fotograferei anche gli studenti che fanno chiodo al Dolce & Salato”.

Non so se sarebbero contenti, comunque ho scoperto che tanti adesso vanno all’Uci Cinema…

“Dove all’Europlex? Sarebbe divertente anche lì. Poi le zone della periferia urbana. O i nuovi quartieri “happy family” all’americana, con tutte le villette a schiera, ognuna uguale all’altra. Vorrei fotografare l’Aurora in Sant’Agostino…vorrei fare un ritratto a Cico (il gestore dell’Aurora ndr). Poi vorrei andare a Rondine, la Cittadella della Pace”.

Insomma, ce ne sono di posti che vorresti fotografare…altro che non sapere da dove cominciare…

“Eh…ora che ci penso in effetti…”.

Una foto immortale…credi che ti riuscirebbe meglio a Firenze o ad Arezzo?

“E che ne so. Una foto immortale non si sa da cosa nasca. Alla fine è uno scatto, nulla più. Ad Arezzo, però, sarebbe più difficile trovare un simbolo. Qualcosa che, dopo averlo immortalato, diventi un simbolo, rendendola così, una foto immortale”.

Diventi un direttore della fotografia cinematografico…che film gireresti ad Arezzo?

“Ma che domande mi fai? Beh…l’Infernale Quinlan. Oppure Fantozzi, non sarebbe male. O magari…la Vita è Bella?”

Un problema di Arezzo da fotografare…

“Gli aretini vanno fuori a studiare, poi tornano a casa per non fare un cazzo. Ad Arezzo non c’è una grande creatività. Anzi – mi correggo – c’è, ma non si vede. C’è, ma non esiste modo di esprimerla. Questo sarebbe un problema da fotografare”.

Quanto ha influito essere di Arezzo nel tuo modo di fotografare…

“Ma devo anche risponderti a questa domanda?”

In effetti la domanda non era un gran ché…ok…è tardi...fine della storia!