domenica 20 febbraio 2011

Lo "straniero" John A. Segalla, gli sceriffi nostrani e la prossima campagna elettorale. Qualche argomento di testa, per un tema - di solito - a uso e consumo della pancia: il razzismo...oh...pardon...il problema immigrazione!

Un articolo domenicale riciclato. Un articolo che ho scritto alcuni mesi fa sul razzismo (con tanto di sfaccettature che l'argomento determina, alcune delle quali abbastanza impressionanti), ma che visti i temi all'ordine del giorno dell'imminente campagna elettorale, è giusto ritirare fuori per una riflessione. Se da una parte il sindaco uscente, poco tempo fa, ha trovato la vocazione da sceriffo; nell'altra sponda, Maria Grazia Sestini, in linea con i suoi alleati, ha portato alla ribalta l'alta questione: "Troppi stranieri in zona Saione".

Quindi, ecco un'altro punto di vista, che spero arricchisca una discussione, altrimenti a deficit di contenuti. Quando la pancia deve essere sedata, a vantaggio della testa...

John A. Segalla era un ricco costruttore dello stato del Connecticut. Italoamericano, di quelli che in un paio di generazioni hanno fatto fortuna. Ricco, intraprendente, un selfmademan puro sangue, ma col marchio del peccato originale che gli scorreva nelle vene: l’origine italiana. Appassionato di golf, una serena mattinata del 1990 ha la malaugurata idea di iscriversi a un circolo esclusivo. Ma sussiste un problema, una “complicazione” che alla compilazione dei moduli necessari risulta insormontabile: il suo cognome, Segalla. Gli italiani non sono ben accetti, neanche quelli di seconda generazione. Neanche quelli ricchi. Lui gira i tacchi, esce dalla porta, se ne torna a casa e inizia a progettare. Nel 1993, dopo soli 3 anni, risponde al razzismo subito con un club del golf ancora più esclusivo.

Segalla, uno che la signora incontrata questa mattina, nel tratto di strada a portata d’orecchio che dall’edicola sotto casa mia, mi separava dalla macchina parcheggiata poco più in là, dovrebbe conoscere: la scena credo che sia fra le più comuni: capannello lungo il pianerottolo, Firenze la multietnica di sfondo, scenografia comune a questa storia comune: “Tolgono il lavoro ai nostri ragazzi, prima bisognerà pensare al nostro e poi a quello di quegli altri”. Questo è quello che ho sentito, pressappoco. Facendo un facile esercizio d’immaginazione, posso fantasticare sul fatto che i successivi argomenti all’ordine del giorno siano stati “…e la sicurezza”, “…e fanno sporco”, “…e la cultura diversa dalla nostra”, “…e la criminalità”.


Ma nulla di nuovo sotto il sole, le due signore fiorentine, alla fin fine, sono molto meglio di un Richard Nixon, Presidente degli Stati Uniti d’America, che di ritorno dal suo primo viaggio ufficiale in Italia, ai giornalisti che lo aspettano a Washington D.C. dichiarerà: “Gli italiani si comportano in modo estremamente diverso dagli altri europei. E a pensarci bene hanno anche un odore diverso”. Erano gli anni ’70 e il medioevo era già finito da un pezzo.


Ieri sul Corriere della sera, in un articolo di Gian Antonio Stella, c’erano dei dati che ognuno di noi dovrebbe impararsi a memoria, fonte Onu: “Chi lascia un paese più povero per uno più ricco vede in media un incremento pari a 15 volte nel reddito; un raddoppio dei tassi di iscrizione alle scuole e una diminuzione pari a 16 volte nella mortalità infantile”. Credo che i dati si commentino da soli. Ai voglia ad avere un Muammar Gheddafi, che dall’alto dei suoi 5miliardi di euro, fa da muro all’immigrazione verso il Continente, servizi all inclusive, compreso il loro “tentato omicidio” nei deserti alle porte di Tripoli. Come si fa a pensare che un uomo di qualsiasi età, genere, credo politico, non cerchi comunque di superare tali forche caudine, se dall’altra parte troverà tutto questo?


Pochi giorni fa ho conosciuto un ragazzo che lavora in un agriturismo vicino ad Arezzo, dove ero stato invitato a cena. Questo ragazzo, del Bangladesh, da 13 anni va in giro per il mondo: è stato 3 anni in Corea, per esempio. Tre anni chiuso in una fabbrica, a dormire, mangiare, e lavorare. Non ha mai messo il naso fuori dal suo posto di lavoro. Immaginate 1.095 giorni, senza vedere neanche il mondo che vi circonda. Poi in giro per l’Europa e grazie a 14.000euro devoluti in beneficienza al racket dell’immigrazione clandestina è venuto in Italia con la promesso di una professione, che invece ha dovuto trovare da sé, dopo essersi regolarizzato. E direte, tutto questo perché? Per i soldi a casa, soldi valorizzati ampiamente dal cambio, con cui i suoi familiari comprano appartamenti che poi affitterà. E poi per un sogno: tornare al suo villaggio con una macchina, con tanto di autista, lui seduto dietro, di modo tale che l’intero villaggio veda che fuori dal suo paese, ha fatto fortuna. Tredici anni di stenti forsennati, per cinque minuti di gloria: “Un altro paio d’anni e ce la faccio, ritorno a casa!”.


Il 10 ottobre del 2007, il tribunale di Buckeburg ad un cameriere italiano riconosciuto colpevole di stupro, segregazione e violenza di gruppo verso la sua ragazza, ha ridotto la pena da 8 a 6 anni di carcere in considerazione della sua origine sarda. Nella sentenza di condanna, la riduzione di pena è stata giustificata così dal giudice tedesco: “Si deve tenere conto delle particolari impronte culturali ed etniche dell’imputato. E’ sardo. Il quadro del ruolo dell’uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante”. In Belgio, il Centre for Equal Opportunities and Opposition to Racism, si occupa anche dell’anti-italianismo, fenomeno dilagante in Europa; come del resto l’European Network Against Racism, organo dell’Unione Europea. In America si fa di meglio, esiste un'associazione ad hoc, l’AIDA, acronimo di American Italian Defamation Association.

A meno che qualcuno di noi si senta inadeguato, mentalmente arretrato, biologicamente ipodotato in quanto italiano, credo che la cosa dovrebbe farci riflettere su un punto: il razzismo, oggi come oggi, è un problema culturale. Un problema che non influisce in maniera consistente in nessuna sfera della nostra vita privata, né tantomeno di quella pubblica. Quando invece dovrebbe essere un problema sostanziale, strutturale, sociale, una sfida sorta alla base di meccanismi globali che si sono messi in moto e che oggi sono inarrestabili. Una scommessa e in quanto tale con i suoi rischi e i suoi pericoli, da “giocare” seriamente e serenamente, come una delle tante scommesse di oggi, ma probabilmente quella con il montepremi più alto. Signora sotto casa mia a Firenze permettendo...!