“Una strategia di sviluppo a tre teste: giovani, cultura e turismo!” Vorrei evidenziare le due parole iniziali, strategia e sviluppo! Due parole inconsuete, collegate alle altre a seguire: giovani e cultura! Sentirle insieme fa quasi impressione. Parole che si sono andate ad aggiungere a “programmazione”, “infrastrutturazione culturale diffusa”, a “programmazione culturale”, o a frasi come “la cultura è un vettore economico”. E non un feticcio godereccio-snob-intellettualoide, come in molti vanno pensando.
A dirle, queste parole, è Nichi Vendola, nel suo stile squisitamente ‘vendoliano’. L’occasione per ascoltarlo, stavolta, è la conferenza stampa di Italia Wave, versione salentina; quella della prossima estate. Ma per oggi, andiamo oltre alla diatriba “Arezzo Wave si, Arezzo Wave no” (questione inutile, visto l’epilogo!) e facciamo un passo in avanti nel dibattito. Ad esempio: perché queste parole (che sono importanti, proprio in quanto parole, come abbiamo imparato da Palombella Rossa) non appartengono al lessico degli amministratori della nostra città?
Perché no? Non siamo una città a vocazione turistica, o che a tale si vorrebbe candidare? E’ sulla bocca di tutti che lo siamo! E allora…perché da quella del nostro sindaco, di bocca, domani mattina, non usciranno queste parole (???): “Sgomberiamo il campo dalla filosofia degli eventi ‘spettacolari’, fini a se stessi, perché sono solamente una scorciatoia! Investiamo in quello che è diventato un vettore della nostra industria: la politica culturale”. Perché invece le nostre politiche culturali, le nostre ‘proto’ politiche culturali, si fondano su un assunto che rimanda un po’ al senso di esistere della sagra della porchetta, un assunto riassumibile in: ‘Se c’è (la cultura)…bene! E se no…pace’!
Vendola ha aperto 169 (centosessantanove!!!) ‘Laboratori Urbani’. Centocinquanta città pugliesi sono dotate di un luogo organizzato, in cui si può lavorare per mettere al mondo un prodotto. Non dei luoghi dove socializzare, non delle stanze dove si possano fare dei corsi di teatro, di musica, o di qualsiasi altra cosa. Non qualche biliardino e due tavoli da ping pong, che assumano, nel tempo di una partita, le sembianze di un “ammortizzatore sociale”. No. In questo caso si parla di veri e propri luoghi dove ‘produrre’. Perché fare cultura significa ‘produrre’! E produrre equivale a creare ricchezza per il luogo dove viviamo! “Le coordinate di una politica culturale, sono gli eventi diffusi e la concentrazione sui fondamentali della ricchezza culturale d’un territorio”. Che più o meno, sta a dire: “Quello che abbiamo: i nostri monumenti, le nostre tradizioni, le nostre teste di aretini, sono una ricchezza!” Usiamola.
Perché gli assessori competenti, non si lanciano in una grande azione politica. O in loro mancanza, perché non lo fanno i consiglieri (che so?) d’opposizione! Perché, chiunque abbia la parola a Palazzo Cavallo, non alza il ditino e dal suo scranno, berciando a gran voce, non dice: “Basta con le iniziative ammalate di provincialismo, basta con le iniziative di un Kitsch indescrivibile! Dobbiamo togliere tutti quegli appuntamenti che non promuovono nulla, se non l’idea del nostro provincialismo”. Perché non pensiamo in grande? Perché non pensiamo che siamo forti, capaci di fare le cose?
Perché nessun nostro concittadino, cari amministratori, non ha distribuito nessun volantino con su scritto: “Vergogna Fanfani (Vergogna Vendola!, quello originale), investire in cultura mentre c’è la crisi!”. Un volantino che non avete mai ricevuto e a cui non potrete mai rispondere: “Noi non ci vergogniamo affatto d’investirci! Anzi, siamo particolarmente orgogliosi di farlo proprio perché c’è la crisi, proprio perché è in momenti del genere che bisogna investire in cultura”
Perché non abbiamo mai sentito dire che: “L’investimento in cultura, allestisce dei cicli produttivi”. Perché no? E perché mai, neanche: “Fare cultura, non significa solamente dare anelito all’anima, ma anche ricchezza al portafogli”. Quando si parla d’industria una persona pensa solamente all’automobile, alla siderurgia e così via, ma cultura significa anche posti di lavoro. Lavoro nuovo, lavoro buono. Vendola a Bari e a Lecce, per fare un esempio, si è inventato il “Cineporto”, due luoghi dove chi vuol fare dei film va, ed ha già tutto quello che gli serve. Due mini Cinecittà. Andate a vedere i film che sono stati girati negli ultimi anni in Puglia!
Parlando nel particolare di Italia Wave…lo sapete cos’ha detto Vendola? (Mi ci viene quasi da ridere!) Ha detto che: “A noi interessa il festival, prima di tutto! Poi vedremo i numeri”. Ha detto così, vi rendete conto? E ha proseguito: “A noi preme la movimentazione dei giovani e della musica. Per noi è un’accelerazione su quel percorso, che ci fa scegliere la cultura senza pregiudizi di sorta. L’investimento in cultura è quello necessario, l’unico che ci può garantire l’ingresso nel futuro”. Basiti.
E allora…perché? Perché la cultura da noi viene declinata a qualcosa di folkloristico, slegato dalle strategie economiche e politiche della città? Perché quel poco che viene investito, lo è senza “essere programmato” in un disegno più ampio, senza pensare che la cultura potrebbe diventare un “volano economico”, “un’impresa”, potrebbe significare dei “posti di lavoro”? Perché? Perché non recuperiamo l’aretinità e non la offriamo al mondo intero? Perché gli eventi per noi sono solamente dei prodotti da acquistare e mai da fare? Perché non decidiamo che questo potrebbe essere il nostro “modello di sviluppo”? Perché non percepiamo il nostro territorio come un tessuto da far crescere. E non mitigamente, come facciamo oggi! Perché, ad Arezzo, vince sempre chi dice: “Fate piano. Non vogliamo rumore”.
Perché?