Un po’ di numeri per cercare di capire: l’Università di Siena deve risanare un buco a bilancio di 200 milioni di euro. Ventisette le persone indagate sulla cosa! I reati contestati sono “falsità ideologica in atti pubblici”, a Silvano Focardi e Piero Tosi, entrambi ex rettori. Mentre per tutti gli altri 25, si passa dal peculato, alla truffa, sino ad arrivare all’abuso d’ufficio. La Procura di Siena ha aperto addirittura una seconda indagine, che coinvolge altre quattro persone, stavolta indagate per irregolarità: la pietra dello scandalo questa volta sarebbe l’elezione di Angelo Riccaboni a nuovo rettore, lo scorso 21 luglio, quando ha battuto Focardi per 373 voti, contro 357 (28 le schede bianche, 19 le nulle). In ogni modo è arrivato il decreto ministeriale che ufficializza la nomina del nuovo rettore. Chiaramente, di una situazione del genere, diversi riscontri si ritrovano anche ad Arezzo, sede di un polo affiliato alla suddetta università.
Sono 48 i lavoratori “stabilizzandi” e 25 quelli assunti con contratto a tempo determinato che hanno perso il posto di lavoro; 100 i dipendenti della Cooperativa Solidarietà Sociale che non collaborano più con l’ateneo senese; sono stati attuati 30 prepensionamenti di docenti universitari; i “Cel” (collaboratori ed esperti linguistici) si sono visti ridurre di due terzi lo stipendio (ma proprio in questi ultimi giorni, hanno vinto una vertenza); 40 unità del personale tecnico amministrativo sono andate in mobilità volontaria. Molti corsi non sono partiti, perché i ricercatori, da quest’anno, portano avanti un’azione di protesta dove alla base c’è la rinuncia alla didattica. E si faccia conto, per chi non lo sapesse, che per quanto riguarda il sostentamento dei corsi di studio - in tutta Italia è così - sono i ricercatori a prendersene carico. A riguardo, il Preside di Facoltà ha mandato una lettera agli studenti e ai loro genitori, dopo quindici giorni di pressioni dagli studenti in protesta, una lettera conclusa così: “Vi assicuro che farò di tutto per ridurre al minimo i disagi ed assicurare uno svolgimento più regolare possibile dell'anno accademico”. Il problema, raccontano gli studenti, è…come?
Guardo Gian Andrea Gambi ed Eleonora Angioletti, i due dei rappresentanti di UniSim, che mi sono trovato davanti, bussando all’Aula 2 della Palazzina Donne del “Campus” del Pionta. “Che poi “campus” non è - tengono a sottolineare - e a noi è questo che ci interesserebbe fare, trasformarlo”. Andiamo con ordine, però, che la situazione è già complicata di suo. UniSim è il movimento che ha preso in mano la protesta per questa situazione a dir poco “difficile”. E l’ha presa in mano lo scorso 11 ottobre, data in cui sia per i motivi appena citati, sia per altri ancora, iniziano un’occupazione “creativa” della loro università.
Li guardo con aria un po’ interrogativa, quasi a pensare: “Ma staranno esagerando?”.
Ritorniamo ai numeri per cercare di capire se di esagerazione si può parlare: sono 3.000 gli studenti iscritti ad Arezzo. Fra Lettere e Filosofia, Economia, Ingegneria, Medicina e Chirurgia, Scienze matematiche, fisiche e naturali (quest’ultime con sede a San Giovanni Valdarno). Non sembreranno numeri da capogiro, rispetto a quelli che potrebbero offrirci le ben più competitive sedi centrali di Firenze, Bologna, o di Siena stessa. Non è un numero così ingente, ma è stato calcolato che perdendo l'università, Arezzo, a sua volta, perderebbe almeno 3milioni di euro l’anno. Senza pensare che non avrebbe più l’onore e l’onere di avere la prima facoltà in Italia, almeno per il Censis, di Lettere e Filosofia. Prima in Italia, grazie alla peculiarità del corso di lingue, ovvero quello che più di tutti sta scontando queste contingenze negative. Un primo posto, che gli studenti, dopo un sollecito di chiarimento, a scanso di equivoci, reputano “calcolato su basi qualitative e non quantitative”. Quindi, non è primo perché gli esami te li regalano, com’è in uso pensare da chi studente non è in quella facoltà. E poi parliamoci chiaro: Arezzo perderebbe un’università, seppur piccola. E questo basti: non sarebbe un gran sintomo per una città che in quanto a risorse già tentenna su tutti i fronti. A riguardo, il Sindaco Fanfani, partecipando a un’assemblea di UniSim, ha dichiarato: “Ragazzi, io per voi posso fare poco o niente” ; mentre un’altra interlocutrice degli studenti, l’assessore provinciale alla pubblica istruzione, Rita Mezzetti Panozzi, ha parlato di: “Mancanza di competenze sulla questione. E’ solo la regione che può darvi una mano”. Che proceduralmente può anche essere vero…ma la loro funzione politica? Il loro peso politico? Le possibili pressioni che potrebbero portare alla discussione in altri livelli? Dove sono?
E il preside? Il Preside Bernardi cosa dice agli studenti in protesta?
“Ci dice, ragazzi, non facciamoci cattiva pubblicità, non esageriamo, perché abbiamo bisogno d’iscritti, è l’unica soluzione al problema! Noi però vogliamo che non ci sia disinformazione. Semplicemente questo. Vogliamo che gli studenti iscritti, pochi o tanti che siano, non rimangano ignari di tutto, ma sappiano a cosa stanno andando incontro”. E magari, a pensarci due volte, dire le cose come stanno da subito, avrebbe danneggiato ancora di più una situazione al limite. Ma come biasimare chi dice: “La pubblicità di un servizio deve essere veritiera?”.
“Insomma, ci tolgono i laboratori linguistici. E in una facoltà di lingua, non in chissà quale altro percorso di studi. Corsi che saltano e forse, ma solo forse, saranno ripresi il prossimo semestre. Corsi che non riapriranno mai! Mettiamo che un docente di una determinata materia vada in pensione: oggi come oggi non esiste il turnover. Il corso chiude! Non lo riprende nessun professore. C’è il discredito di alcuni percorsi di studio, come quello in Beni Culturali, che per una città come la nostra, dovrebbe essere reputata una scelta gravissima. E invece silenzio. Ad Arezzo, addirittura, c’è il rischio che per l’impossibilità di raggiungere i 180 crediti formativi, gli studenti non possano laurearsi. O comunque, che trovino delle grandi difficoltà nel farlo. Insomma, in questo quadro grottesco, in questo modo di amministrare il polo aretino, noi vediamo una volontà velata, cioè quella di chiudere l’offerta formativa che offre la succursale di Arezzo. Di chiuderla piano piano, minandola dall’interno”. E in questa visione, viene quasi da pensare che la Riforma Gelmini sia semplicemente la punta di un iceberg, la parte visibile di una pietra dello scandalo sotterranea. E’ un cane che si morde la coda, quest’università. E’ malata. Un malato terminale, tanto che di fronte ad una domanda difficile, cioè: e se si dovessero immolare per la salvezza dell’intera Università di Siena? Chiudere saracinesche e battenti del polo aretino per la salvaguardia della sede centrale? Loro rispondono disarmati: “Beh, dovremmo parlarne in assemblea, ma se questo cambiasse veramente le cose, potremmo pensarci! Anche se dubitiamo che cambierebbe qualcosa!”
Malata, o forse sarebbe meglio rinominarla, “diversamente abile”. Diversamente abile perché, nonostante tutto, grazie ad UniSim, dall’undici di ottobre, dentro la Palazzina Donne del “campus” del Pionta, va di scena una sorta di “seconda giovinezza”. Tanti problemi, ma anche tante risorse che si autoproducono. Professori che appoggiano la battaglia degli studenti, che con gli studenti stessi si confrontano e che – quasi come un segno di riconoscenza, come per dare un loro, personale, contributo – regalano un’offerta formativa inerente alle materie del polo, ma in maniera anticonvenzionale, tenendo lezioni pubbliche più particolari rispetto a quelle su cui discuterebbero in un corso di laurea. L’università rimane aperta alcuni giorni la settimana, anche la sera, per cineforum, djset, conferenze, spettacoli di teatro, addirittura autoprodotti direttamente in facoltà dai ragazzi, “Solamente qualche giorno di prova e si va in scena”. Gli studenti di UniSim si stanno facendo venire in mente le idee più disparate, vorrebbero che l’Asl, o qualsiasi altro tipo di ente, rendesse agibile un’altra palazzina, per farla diventare un luogo di produzione culturale: una sala prova, una sala conferenze, un bar e chi più ne ha più ne metta. Vorrebbero autogestire i laboratori linguistici, trovando le risorse per reinserire i dipendenti della cooperativa che già se ne occupavano!
Vogliono prendersi quello che l’università gli ha tolto e che Arezzo non gli ha mai dato:
“Il Pionta deve diventare un vero “campus”. Qualche giorno fa sono venuti a trovarci alcuni studenti americani e una delle cose che ci hanno chiesto è stata: ‘Ma perché questo posto lo chiamate campus? Non lo è’. Bene, facciamocelo diventare, con i ragazzi che stiano qui e lo facciano vivere, magari aprendo dei negozi, dei veri e propri esercizi commerciali gestiti dagli studenti stessi, inventando una serie di eventi accessori ai corsi di studio, ma anche appuntamenti che siano organizzati soltanto per divertirsi, facendo vivere questi luoghi dalla mattina alla notte, no stop. Stiamo cercando di darci dei piccoli obiettivi da portare avanti, passo dopo passo – chiosano Gian Andrea ed Eleonora – obiettivi che sul lungo periodo ci facciano arrivare lontano”.
Nessun commento:
Posta un commento