mercoledì 22 dicembre 2010

Stefano Mori, Migrantes: "L'integrazione? Non è un problema esclusivo degli immigrati"


L'Orlandino più che notizie, cerca di offrire ai suoi lettori punti di vista diversi per dare uno sguardo nuovo alla nostra città. Da questa settimana lo farà grazie anche ad un interessante 'tour' nel mondo associativo aretino. Un 'tour' a cura di una nuova collaboratrice del blog, Francesca Ceravolo. Un vero e proprio viaggio fra le realtà del terzo settore che - è bene non dimenticare mai - lavorano, testualmente, per la produzione di beni e servizi a destinazione pubblica, quindi per la collettività. Una lettura per conoscere meglio, cercare di capire, sapere cosa fanno, come operano e perché lo fanno questo tipo di strutture. Uno sguardo diverso sul nostro territorio. Un punto di vista inconsueto, ma di certo molto interessante. Questa settimana, una chiacchierata con Stefano Mori, dell'Associazione Migrantes. Buona lettura!


L’associazione Migrantes Onlus è un’associazione di Arezzo apolitica ed apartitica. A fare da cornice di tutte le sue attività è il settore sociale: i propositi sono quelli di fornire uno strumento di prevenzione dal disagio, di educazione e di promozione della tutela di tutti quelli che sono i bisogni della persona, l’ obiettivo è dunque migliorare la qualità della vita. Per realizzare tale scopo l’associazione Migrantes si è arricchita nel tempo di più braccia operative, come il Centro per l’Integrazione in Piazza Fanfani, un servizio d’informazione, accoglienza e orientamento che vede la collaborazione di Comune, Provincia e Prefettura con l’associazione, o come la Comunità Educativa per minori in Via Fiorentina ad Arezzo.

La comunità casa Don Bosco nello specifico è uno dei tanti servizi dell’associazione; nasce nel 2008 a opera di alcuni soggetti con esperienza e competenza nel settore educativo che gravitavano intorno a Migrantes. L’idea prende forma a seguito di un monitoraggio locale in merito alla necessità di una comunità educativa simile per i minori. Il target individuato è quello di ragazzi dai 6 ai 18 anni coinvolti in forme di disagio di varia origine, familiare o individuale.





INTERVISTA A STEFANO MORI, RESPONSABILE, INSIEME A SERENA BALDI, DELLA COMUNITA’ EDUCATIVA CASA DON BOSCO

di Francesca Ceravolo

“La professionalità è elemento essenziale, non si può agire solo con la politica del 'vogliamoci bene'”.

Iniziamo dal nome dell’associazione, perché Migrantes? 

“Si rifà al termine migranti. Ci tengo a sottolineare che nonostante l’assonanza di nome non si fa riferimento agli immigrati o meglio non solo…ma a tutti coloro che migrano, cioè che si trovano a spostarsi per vari motivi, come i circensi, i rom e molti altri. Il nome è stato ripreso pari pari da quello della Fondazione Migrantes, organismo diocesano ed è stata creata questa associazione perché la fondazione non poteva gestire direttamente dei progetti, ma aveva bisogno di un braccio operativo, cioè noi, ed abbiamo mantenuto anche il nome”.

Proprio a proposito di questo….la diocesi che ruolo ha sul vostro lavoro?

“Stavo per precederti appunto per precisarlo. Nascendo come braccio destro della Migrantes diocesana, ritroviamo tra i nostri valori quelli dell’ente di derivazione, pur mantenendo un taglio laico al nostro lavoro. Alle persone che lavorano o gravitano nell’associazione e allo stesso consiglio direttivo, non è richiesto di esplicitare alcuna fede religiosa”.

E dall’esterno? Vi è mai capitato di essere etichettati secondo religione e quindi per questo essere magari allontanati dai circuiti espressamente laici?

“No, non è mai capitato, anche perché noi stessi ci muoviamo senza ostentare alcuna fede religiosa, seppure molti di noi si ispirano ai valori cristiani nella propria vita, nel quotidiano, ma con profondo rispetto verso tutte le diverse sensibilità”.

Entrando nel cuore del vostro lavoro…avanti coi temi caldi: la clandestinità come viene vissuta dai ragazzi con cui lavorate?

“Per legge il minore anche se clandestino non è espellibile. Se ci sono i tempi lavoriamo proprio per prepararli ad arrivare alla maggiore età nella condizione di non essere più clandestini. Chiaro è che se il ragazzo arriva da noi a diciassette anni e mezzo non possiamo più lavorare in questi termini, un po’ per i tempi ristretti ma anche per le normative che impediscono di fatto la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno, una volta divenuto maggiorenne”.

Una curiosità, tempi permettendo, quali sono i passaggi burocratici per far si che un ragazzo arrivi al diciottesimo anno di età da regolare? 

“Dunque, i clandestini sono una parte residuale dei ragazzi che abbiamo qui, però nel loro caso, cioè di un minore straniero non accompagnato, prima facciamo un’accoglienza, poi un’indagine in coesione con il servizio sociale e alla fine viene segnalato al giudice tutelare che nomina un tutore. Dopodiché iniziano le pratiche della regolarizzazione. Intanto ha diritto a un permesso di soggiorno per la minore età, in base poi alla tipologia di persona viene inserito in un percorso d’ integrazione apposito alla sua situazione a partire dalla lingua, aspetto da cui non si può prescindere non trattandosi di turisti ma di persone che vengono qui nella speranza in futuro di lavorare”.

E dopo la lingua? 

“Cerchiamo di abituarli alle nostre tempistiche, ad esempio in alcuni paesi gli uffici non hanno orari ben definiti, quindi l’intento è di educarli ai nostri ritmi e regole. Li stimoliamo a entrare a pieno nelle dinamiche della città e questo vale non solo per gli stranieri, ed è il motivo per cui ci siamo localizzati in centro e non in periferia. I ragazzi hanno così modo di usufruire di tutti i servizi cittadini in autonomia, a partire dai mezzi pubblici, attività sportive e quant’altro. Stando qui possono imparare a muoversi sul territorio, inserendo il tutto in un progetto educativo personalizzato e proporzionale all’età”.

Voi non ostentate nessun tipo di credo religioso, ma per quanto riguarda i ragazzi che ospitate nella comunità? La religione com’è vissuta? 

“E’ un aspetto importante, quello della religione, ma deve rimanere del tutto intimo e personale! La cosa interessante è che ospitiamo ragazzi di tutte le religioni, cristiani, musulmani e ognuno è libero di professare la propria fede. Qui nella casa vengono anche create situazioni per cui chi segue una certa confessione possa farlo serenamente senza sentirsi ostacolato. Come per il Ramadan, i ragazzi che lo seguono hanno pasti ed orari specifici e vengono create loro le condizioni per potergli permettere di andare a pregare in moschea. Proprio stamattina non abbiamo mandato a scuola un ragazzo perché aveva un momento di preghiera per lui molto importante, seppure, la scuola, sia una delle cose da ritenersi indispensabili”.

Abbiamo chiarito il concetto di Migrantes, che non si riferisce solo agli immigrati, ma proprio parlando di loro secondo te qual è la condizione media di un immigrato in terra aretina? 

“A riguardo del target della comunità, si parla di ragazzi dai 6 ai 18 anni, un target giovane capace di integrarsi e inserirsi nella società molto facilmente. I nostri ragazzi stranieri presentano problematiche analoghe ai loro coetanei aretini, anche se è ovvio che si possono aggiungere a quest’ultime, anche circostanze diverse, condizioni familiari o personali particolari. Le problematiche degli stranieri non accompagnati si presentano soprattutto dal diciottesimo anno di età in poi, se il ragazzo non ha usufruito di un periodo di passaggio, in cui è stato sostenuto e in cui ha costruito parte del suo futuro, si troverà a diciotto anni in seria difficoltà. Rispetto alla media dei ragazzi italiani e aretini, se pur problematici, diciamo che lo straniero deve iniziare a preoccuparsi del suo futuro molto prima”.

I ragazzi aretini che “stanno bene”, come si rapportano ai giovani che ospitate?

“La tendenza dei ragazzi che ospitiamo, sia per gli stessi aretini che non, è quella di ricercare anche al di fuori della comunità un nucleo rappresentativo molto simile a loro. Noi cerchiamo sempre di ammorbidire questa tendenza, farli rapportare a persone di altri ambienti. Questo è reso possibile anche da ragazzi che fanno volontariato qui da noi, come gli scout, che si vanno ad amalgamare con i ragazzi che ospitiamo molto serenamente, senza pregiudizi, cogliendo il fatto che anche per loro, i volontari, l’esperienza in comunità è un’occasione per toccare altre realtà”.

Tutti gli altri, Scout e soggetti coinvolti in realtà associative a parte, manifestano interesse spontaneo? 

“Richieste di volontariato di soggetti totalmente esterni capitano raramente, quello che posso dire è che a parer mio il mondo giovanile è in questo periodo molto preoccupato per il proprio futuro…i ragazzi che ospitiamo noi lo sono magari per motivi più contingenti, ma anche chi ha una situazione di vita serena, una famiglia e un sostegno, attraversa comunque un periodo di forte preoccupazione. La crisi economica ed altre situazioni che vediamo quotidianamente lo dimostrano. Anche lo stesso mondo degli adulti spesso non gli da né sicurezza né garanzie…quindi riassumendo, come possono preoccuparsi anche di altri?”

Intendi dire che una preoccupazione esclude l’altra?

“Temo di si..perché c’è tanta preoccupazione individuale, dato il momento, giustificabile”.

Dando un’occhiata ho notato che in molte di queste strutture è assente la figura dello psicologo, voi ne usufruite? 

“E’ spesso assente perché la normativa non lo prevede, noi abbiamo però deciso di inserirla tramite una delle nostre operatrici che è psicologa, integrando le normativa”.

La scelta di un target così ben definito da cosa è dipesa? 

“Come associazione si cerca di fornire dei servizi laddove questi non sono sufficienti o addirittura sono inesistenti, inutile sarebbe sovrapporsi ad attività già operative, verrebbe meno il mettersi a disposizione di bisogni rilevati”.

Come vengono valutati i ragazzi per capire chi ha i requisiti per essere accolto e per mantenere questa attinenza lavorativa? 

“Quando abbiamo pensato ad una casa di accoglienza, in primis ci siamo concentrati su quelli che sono i requisiti presentati dalle normative nazionali, a queste abbiamo integrato altri documenti di regolamentazione ai quali ci atteniamo, come la Carta dei servizi dell’associazione e regolamento interno, di modo che si andasse a caratterizzare la struttura esattamente per il tuo di scopo prefissato”.

Avete dunque escluso tutta una tipologia di utenti che però potrebbe rientrare ugualmente nella categoria del disagio…. 

“Abbiamo deciso di escludere alcune tipologie di disagio, come le tossicodipendenze o soggetti con disturbi psichici non ritenendoci del tuttologi. Per affrontare le problematiche in un modo efficace si devono avere le giuste competenze, quindi ci siamo concentrati su quelle che avevamo o intendevamo acquisire ma senza andare oltre, ricordandosi sempre che abbiamo a che fare con persone e non si possono rischiare “danni”. La professionalità è elemento essenziale non si può agire solo con la politica del 'vogliamoci bene'”.

Pensi che al contrario ci siano strutture che si propongono oltre le proprie competenze, quasi a voler strafare e che possono causare anche danni? 

“Diciamo che non ho in mente nessuno ma trattandosi di sociale chi opera in questo mondo può essere animato da varie e diverse motivazioni ed a volte è possibile che queste, sotto la 'copertura' del sociale, mirino semplicemente a trovare un impiego lavorativo e pur di lavorare si rischia di fare anche quello per cui non siamo preparati”.

A te è capitato di riscontrare questo tipo di realtà qui nel nostro territorio? 

“Preferisco non fare nomi, ma si…anche se specifico che credo che la maggioranza sia sana!”

A tutela di questo c’è un monitoraggio del vostro operato o vi muovete in totale autonomia?

“Il monitoraggio c’è, è costante ed è giusto che sia così. I nostri sono finanziamenti pubblici, soldi di tutti quanti, è giusto che venga sempre verificato come vengono spesi”.

Una perplessità che viene spesso sollevata è che non si sa mai in che modo realtà quali la vostra spendano i propri soldi…. 

“Se non se ne viene a conoscenza non è certo perché non ci sono verifiche. Ed inoltre per poter utilizzare i fondi disponibili si deve essere accreditati”.

In che modi ci si accredita? 

“Un anno fa è stata approvata una legge regionale sull’accreditamento delle varie strutture e noi adesso siamo proprio in fase di accreditamento, per cui se tu vuoi lavorare in convenzione con gli enti pubblici devi accreditarti e quindi fare un percorso che si alterna in varie fasi, un percorso che cerca di portare consapevolezza e qualità del servizio che viene offerto .

Ad ogni modo dopo essere stati accreditati, quindi ritenuti all’altezza di ricevere fondi pubblici, si è comunque soggetti a continue verifiche fatte in maniera casuale e periodiche?

"A nostra stessa tutela usufruiamo una volta al mese anche di un supervisore esterno, al quale ci appoggiamo per avere uno sguardo valutativo lontano dalle dinamiche interne e quotidiane all’associazione, al quale chiediamo noi per primi una valutazione e che ci aiuta a vedere le cose spesso in modo diverso”.

I ragazzi si presentano anche autonomamente o sempre attraverso il supporto degli assistenti sociali? 

“In questo genere di strutture il lavoro è coordinato con gli assistenti sociali, infatti è solo tramite loro che vengono inseriti i ragazzi. Vengono accolti solo su loro esplicita richiesta o di un tribunale, diversamente da quanto può avvenire per gli utenti di uno sportello, come il centro per l’integrazione”.

Le famiglie dei ragazzi che accogliete che ruolo hanno in tutto questo? 

“Cerchiamo sempre di coinvolgerle e di sostenere anche loro, con un piano di visita per i ragazzi stabilito ad hoc caso per caso in base al contesto, senza omologare le situazioni ad un un'unica modalità d’intervento”.

E’ vero che anche in casi di forte disagio vissuto in famiglia, si fa fatica ad allontanare il minore anche da situazioni molto critiche? 

“Anche questa è una valutazione che spetta al servizio sociale e non a noi ma dalla mia esperienza trovo giusto e corretto, come la stessa normativa afferma, che la famiglia vada aiutata a creare le condizioni affinché il figlio possa rimanere all’interno del nucleo, aiutandolo con supporto magari diurno dei minori, senza interrompere il rapporto con la famiglia che rimane privilegiato e al quale strutture come la nostra non si devono sostituire”.

Data la sinergia con i servizi sociali mi sento di chiederti cosa ne pensi di questa collaborazione e come lavorano a parer tuo…

“La collaborazione è molto buona. Per quanto riguarda i minori credo che laddove si presentino delle carenze o delle incertezze questo sia dovuto esclusivamente ad una mancanza di personale....per il tipo di situazioni che si trovano a gestire ritengo che spesso ci siano poche risorse umane in campo. Penso invece che si possa e si debba fare di più sul sostegno al nucleo familiare, è inutile lavorare su un minore disagiato se la sua famiglia non viene supportata, e al momento per la famiglia esistono meno realtà operative”.

Lasciando da parte la comunità, uno dei primi servizi che l’associazione Migrantes ha gestito è il centro per l’integrazione, che riscontro sta dando?

“E’ un servizio che funziona molto bene, si rivolge a tutti i cittadini, molti aretini, che hanno bisogno di integrazione. L’Italia è molto complicata per esempio dal punto di vista della burocrazia ed avere qualcuno che sa sciogliere l’iter da seguire, spesso ingarbugliato, ha creato un giro di utenza molto ampio”.

Ci sono più utenti italiani o stranieri? 

“Al contrario di quanto si pensa, al momento i casi italiani sono di più, nel caso di stranieri ci sono comunque dei mediatori che aiutano a superare le eventuali difficoltà di interpretazione”.

Molti pensano che gli stranieri siano quelli che commettono più reati, in base alla tua esperienza cosa ne pensi? 

“Quando parlo con i ragazzi della casa di accoglienza, ad esempio a riguardo delle loro amicizie, quello che dico sempre è “non fate mai differenze tra italiani e stranieri ma tra persone oneste e disoneste: frequentate le prime e state lontani dalle seconde!”