Uno juventino inossidabile, a giudicare dalla sua pagina Facebook, dove dedica alla squadra più di un post appassionato. Però nulla a confronto con l’inossidabilità della sua fede: “Una parte di me più consapevole di quanto lo fosse in epoca adolescenziale; la lente con cui cerco di leggere la realtà, la bussola per orientarmi nel dibattito pubblico”. Lorenzo Schoepflin, 31 anni, sposato, due figli.
Fin da ragazzo frequenta la parrocchia, grazie all'educazione ricevuta in famiglia. Nel 2004 entra nell'Udc, ma è solamente 4 anni dopo che farà l’esperienza più importante, nella Lista Ferrara: “Lavorare per qualche mese fianco a fianco con Giuliano Ferrara è qualcosa che non capita tutti i giorni. Un’esperienza fantastica, dove ho potuto maturare la mia consapevolezza pro-life, che da hobby si è trasformato in un secondo lavoro”. Un secondo lavoro, perché Lorenzo di giorno è un ingegnere libero professionista, mentre di notte scrive per‘Avvenire’, con cui collabora in materia di bioetica.
Bene Lorenzo, partiamo dal presupposto che davanti a te c’è un relativista ostico, fazioso e impenitente...convincimi del contrario…
“La vita umana è il bene più prezioso che ci è stato dato. E' l'origine di tutte le nostre libertà, che ovviamente non esisterebbero se noi stessi non fossimo qui, vivi. Si può vederla come un dono di Dio o come il frutto del caso, ma è innegabile che il suo valore sia incommensurabile. Per questo motivo, è la vita il bene primario da difendere”.
Controbatto, da buon relativista ostico, dicendo che sono altri i valori e i diritti da difendere, prima ancora della “vita in divenire”! Anzi, è proprio la “vita in divenire”, che spesso si mette di traverso ai diritti delle persone che già esistono…
“Sei effettivamente un buon relativista. Vita “in divenire” è una locuzione pericolosa, come tutte quelle in cui si cerca di accostare alla vita di un essere umano una caratteristica: degna, piena, biologica, biografica e via dicendo. In questo modo la si relativizza, appunto, mentre è un bene oggettivo, assoluto. La vita è o non è. Tutti noi, se riavvolgiamo il nastro, torniamo al momento zero, al concepimento: chiunque si identifica con l’embrione che è stato, che era la persona che, per dirla con le tue parole, adesso esiste, ma esiste ora come allora!”.
Rimangono sempre quei diritti, a cui un "embrione" si mette di traverso…
“Riguardo ai diritti, se ci pensiamo un attimo, la difesa della vita umana coincide nella stragrande maggioranza dei casi con la difesa del più debole: dal bimbo nel grembo materno al malato e sofferente. Parliamo dei soggetti più deboli, di quelli che non hanno voce, che non possono difendersi da soli. Figurati che Madre Teresa diceva che non potrà esserci pace finché ci sarà l’aborto, quasi a delineare le priorità: se una madre può eliminare il proprio figlio, se un uomo può interrompere la vita di un bimbo ancora nell’utero materno, come possiamo pretendere che esista un clima di concordia e di giustizia? Ecco, io faccio mia questa priorità, la vita, senza nulla togliere a chi s’impegna per carisma e per inclinazioni personali, su altri obiettivi. Anche se, fammelo dire, diffido in partenza di chi è a favore del ‘diritto di abortire’ e, solo per fare alcuni esempi, sfila con la bandiera arcobaleno o per difendere i diritti degli operai”.
Ma per quanto riguarda i malati terminali, non dovrebbe sussistere una loro consapevolezza?
“Il tema è complesso e riguarda tutto quello che si snoda tra eutanasia, accanimento terapeutico e cure palliative. Il tema centrale è quello della disponibilità del bene “vita”. La vita è mia e quindi ne posso usufruire come voglio, fino all’estrema scelta di morire? Il discorso è molto complesso e la risposta a questa domanda non è così scontata. Se una persona depressa chiede di morire, dobbiamo rispettare la sua volontà? Detto questo, per un malato terminale capace di esprimere la propria volontà, la scelta è certamente un ingrediente che viene tenuto in considerazione, non certo però a fronte di una richiesta di eutanasia. Piuttosto, nell’ambito dell’alleanza medico-paziente, si sceglierà la via migliore per l’accompagnamento alla morte, quindi no all’accanimento terapeutico e sì alle cure palliative. Morte che sopraggiungerà per le conseguenze della malattia e per nessun altro motivo, quindi no all’eutanasia. E attenzione alla sofferenza e alla solitudine: non c’è vera libera scelta se, di fronte al desiderio di morte di un malato, non si risponde in primis con l’assistenza. La prima risposta non può mai essere una semplice accondiscendenza, anche se in nome del rispetto della volontà”.
Esistono delle esperienze aretine portate avanti dal Movimento per la Vita?
Mpv e non solo! Penso all'associazione Casa Betlemme guidata da Flora Gualdani e a tante persone che in silenzio, senza proclami, aiutano le madri che prendono in considerazione l’aborto come opzione: un aiuto morale, psicologico ed economico, un sostegno per molte donne che si trovano spesso chiamate a decidere nella più totale solitudine. Penso ad esempio al progetto Gemma, che il Mpv porta avanti da anni grazie all’aiuto di benefattori e volontari e che consiste nell’’adozione di una mamma’, garantendole una cifra mensile per la prosecuzione della gravidanza e per i primi mesi dopo la nascita. Penso alla stessa attività che da 50 anni fa Flora Gualdani, che in questi decenni ha garantito un tetto e un pasto caldo a tutte le madri in difficoltà che ha trovato sulla sua strada”.
Non si conoscono troppo bene queste realtà…
“Forse hai ragione: non tutti conoscono questo tipo di attività, ma paradossalmente, così se ne aumenta il valore, confermando che questo tipo di esperienze sono fatte per un autentico e puro amore per il prossimo e per gli ultimi”.
Ok, ma non sarebbe più utile, invece, pubblicizzarle ancora di più? Perché non se ne parla? Ho la sensazione che il rischio di queste esperienze, nobili realtà, stia proprio nell’essere messe in ombra a discapito delle polemiche che vengono provocate dagli stessi movimenti pro-life!
“Credo che ognuno abbia il proprio stile nell’agire al servizio della vita, ed è bello che sia così. Tra i vari stili c’è anche quello per così dire “di basso profilo”, che è efficace proprio perché parla al cuore dei diretti interessati, senza clamori e proclami. A questo deve essere associato un intenso lavoro culturale, che è quello un po’ più fastidioso per la cultura dominante. Pensa ad esempio alle tante polemiche che suscitano a più riprese le proposte di inserire personale pro-life nei consultori. Non credo che il problema sia del mondo pro-life, anzi: è il pensiero dominante che quasi impone il silenzio. Se vuoi salvare una vita fallo, ma non fare troppo rumore. E vediamo cosa succede alla tanto discussa trasmissione di Fazio e Saviano: si fanno parlare i sostenitori dell’eutanasia, ma viene negato il diritto di parola a coloro che la pensano diversamente. Della serie: curate i vostri malati, assistete i vostri parenti, ma non venite in televisione a raccontarci le vostre motivazioni”.
Cambiamo argomento, quale parola, o concetto, o simbolo, della politica vorresti cancellare dal vocabolario?
“Senza dubbio, il moralismo. Perché impedisce di discutere e formulare giudizi sul piano politico. In seconda battuta quello che potrei chiamare “nuovismo”. A volte sembra che ciò che è “nuovo” o “moderno” (o presunto tale) sia per forza buono. Questo non permette la discussione nel merito delle questioni”.
E al contrario, quale parola, o concetto, o simbolo, ti piacerebbe veder esordire?
“Voglio essere provocatorio: la laicità. Quella vera però. Quella che riconosce la ragionevolezza di posizioni da molti etichettate come “talebane”, o “integraliste”. Credo di aver esposto le mie ragioni con te senza aver dovuto richiamare il magistero della Chiesa, le omelie del Pontefice o cose del genere”.
No, in effetti confermo!
“Eppure non mi vergogno di dire che è la fede in Gesù Cristo e nella Chiesa Cattolica che mi ha aiutato a maturare certe convinzioni, che trovo rispondenti al mio essere e al mio essere razionale”.
Su cosa scommetteresti ad Arezzo? Come te la immagini domani?
“Per me Arezzo è la città più bella del mondo. Anche le mie scelte lavorative sono sempre state orientate a non abbandonarla. Quindi rispondo nel modo più facile: domani me la voglio immaginare sempre uguale a se stessa. Non sono d’accordo con chi la dipinge come una città morta, senza proposte, senza iniziativa. E’ una città che, almeno per gli stili di vita del sottoscritto, non manca di nulla”.
Ti sembra così vitale e lanciata nel futuro?
“Non è educato ma devo risponderti con una domanda: che vuol dire “vitale”? Economicamente sana? Culturalmente attiva? A misura di famiglia? Turisticamente attraente? Da tutti questi punti di vista, Arezzo soffre di problemi che non sono solo suoi e che risentono della situazione e della cultura italiana. Ma, ribadisco, continuo a pensare che vivere ad Arezzo sia una fortuna”.
Una proposta di rottura per la città: dovessi sedere negli scranni del consiglio comunale la prossima legislatura cosa faresti?
“Non vorrei essere monotono, ma proporrei un Assessorato alla Vita, che si occupi davvero della sua tutela. In un Comune dove è stato approvato il registro dei testamenti biologici, per altro dichiarato privo di valore dal Governo, sarebbe una bella inversione di tendenza. Anche se credo che, in realtà, a parole una proposta del genere sarebbe accettata da tutti, salvo poi non prenderne sul serio il ruolo. Perché mi sembra che oggi, da destra a sinistra, passando per il centro, siano ben altri i problemi di cui ci si occupa: litigi interni, manovre di palazzo, aperture dei negozi, Arezzo Wave. Colgo l’occasione per rompere la monotonia. Vuoi una proposta di rottura? Mettere una pietra sopra Arezzo Wave. Chiudere ogni trattativa per sempre con Valenti. Lo dico perché personalmente – e credo di interpretare il pensiero di una buona parte di aretini – non sento la mancanza della kermesse musicale. Tanto più ora, che le trattative per il ritorno ad Arezzo del festival, sono diventate così stucchevoli”.
Cosa non ti è piaciuto? La particolare curiosità sulla questione è perché andremo ad intervistare Mauro Valenti fra poco e ci interessano tutti i punti di vista del caso...
“Mi sono meravigliato di un Sindaco così deciso sulla questione della criminalità legata all’immigrazione, ma che ha traccheggiato, ed esitato nel chiudere la porta in faccia a Valenti e alla sua manifestazione che – ricordiamolo – si porta dietro anche soggetti e situazioni poco raccomandabili. Qualcuno si ricorda ancora del giovane morto al campeggio anni fa? E’ impensabile che il prestigio e la visibilità della nostra città debba dipendere da cinque giorni di musica! Do comunque atto a Fanfani di aver fatto una scelta responsabile nel aver finalmente detto no a chi, stando alle parole dello stesso Sindaco, aveva chiesto 500.000 euro di soldi pubblici per lo svolgimento del Festival. Dico solo che mi sarebbe piaciuto vederlo più risoluto con una persona che se ne va da Arezzo perché ha avuto offerte più allettanti e poi torna e come primo atto batte cassa”.